Tutti devono avere uno scopo
Dati della Banca Mondiale alla mano: su questa Terra viviamo contemporaneamente in compagnia di altri 8 miliardi di persone. Solo nel 2.000 eravamo in 6 miliardi. Dobbiamo andare indietro nel tempo fino all’Ottocento per vedere l’intera popolazione mondiale scendere sotto il miliardo di persone.
Secondo una stima del 2011 del Population Reference Bureau, il totale di essere umani vissuti in tutte le epoche è pari a 108.760.543.791. Un numero impressionante che mi fa pensare alla reale importanza che ha la vita di un singolo individuo.
Vista da un punto di vista strettamente biologico, si potrebbe dire: vicina allo zero. Ma poi penso a me, guardo ai miei figli, a mia moglie. Ai miei genitori che ho conosciuto nel pieno delle loro forze e vedo lentamente invecchiare. Mi rendo conto di quante emozioni, gioie e sofferenze viviamo ogni giorno e quante ne abbiamo vissute nella nostra vita fino ad oggi: un numero così notevole che supera di gran lunga lo sterile significato biologico della vita.
E così che arrivo a pensare al senso dell’esistenza. E al suo valore.
Non ho la presunzione di conoscere il significato della vita. Perciò mi concentro sullo scopo, quello che nel buddismo l’amico @Fabio Scafoletti mi ha insegnato essere simile alla “intenzione”.
Non c’è niente che può dare più valore alle nostre vite di uno scopo. Senza il quale faremmo bene a starcene beati a saltare da un social all’altro, da una serie tv a quella successiva. Saremmo come barche in balia del vento, senza mai sapere a che porto attraccare.
Ci sono persone che vivono eventi tragici. Alcune di esse hanno imparato a dominare le situazioni in cui si sono trovati, imparando a trasformare un incidente da fonte di confusione e depressione in un’occasione di ordine interiore.
Nel libro Flow – Psicologia dell’esperienza ottimale, è riportata una parte dell’intervista a Lucio [un ragazzo spensierato che faceva l’inserviente in un distributore di benzina e aveva ventun anni quando un incidente in motocicletta lo aveva paralizzato dalla cintola in giù. Prima gli piaceva giocare a rugby e ascoltare musica, ma fondamentalmente ricorda la sua vita come priva di scopi e di fatti degni di nota. In seguito all’incidente le sue esperienze di soddisfazione sono aumentate sia di numero sia di complessità. Al termine della convalescenza si è iscritto all’università, si è laureato in lingue e attualmente lavora come commercialista. […] Ora è campione regionale di tiro con l’arco, gareggiando in sedia a rotelle.
Ecco qualche osservazione di Lucio durante la sua intervista: “Quando sono diventato paraplegico, è stato come nascere di nuovo. Ho dovuto reimparare tutto quello che sapevo, partendo da zero, ma in un modo diverso. Ho dovuto imparare a vestirmi, a usare meglio la testa. Dovevo inserirmi nell’ambiente e usarlo senza tentare di controllarlo… Ci sono voluti impegno, forza di volontà e pazienza. Per quanto riguarda il futuro, spero di continuare a migliorare, di continuare a superare le limitazioni del mio handicap… Tutti devono avere uno scopo. Quando sono diventato paraplegico, questi miglioramenti sono diventati lo scopo della mia vita”].
Non so dirti quale sia il significato della vita. Ma so per certo che niente può dare più valore alle nostre vite di uno scopo. È lo scopo che ci sprona a migliorare. È grazie ad esso che alla fine dei nostri giorni avremo la sensazione di aver dato valore al tempo che abbiamo vissuto.