Come pensa chi non si dà per vinto

Come pensa chi non si dà per vinto

 Foto di Monstera da Pexels

Ciascuno di noi se la deve vedere con delle difficoltà. Piccole o grandi che siano, accadono nella vita di chiunque e ognuno le affronta a modo proprio. Alcuni si dicono che andrà male, si incolpano e si arrendono presto. Altri si dicono che passerà, tengono duro e le superano positivamente. Ma il modo in cui ti spieghi un evento negativo vale molto più delle sole parole che ti dici quando fallisci. È parte del tuo stile di pensiero e influisce sulla probabilità di cogliere le opportunità che ti si presentano, o di perderle. Di rialzarti indenne da un fallimento, o di uscirne sconfitto.

Non pioverà per sempre

Avevo un collega, Luca. Lavoravamo per una banca e Luca era un dipendente modello: gentile, preciso e collaborativo. Portava avanti i propri compiti con impegno. Le sue qualità gli avevano permesso di fare una discreta carriera quando lavorava in filiale. Con i clienti era gentile e affidabile. Era una persona che trasmetteva fiducia e i superiori contavano sulla sua dedizione.

Poi le cose cambiarono. La banca cambiò strategia, il suo responsabile venne assegnato a un’altra filiale. A Luca vennero assegnati degli obiettivi di vendita sfidanti e la sua valutazione si spostò sul numero di vendite mensile, poi settimanale, e infine gli vennero chiesti dei resoconti giornalieri. Si sentiva sempre più stressato e a disagio. Il nuovo capo non lo stimava come il precedente e la relazione fra i due divenne tesa. Di lì a poco si convinse che il lavoro di filiale non era più adatto a lui. E che non lo sarebbe mai più stato.

La permanenza è la prima dimensione del proprio “stile esplicativo”, spiegato da E. P. Seligman nel suo libro Imparare l’ottimismo: quando affronti un’avversità puoi dire a te stesso che si tratta di una situazione temporanea, oppure che si tratta di un nuovo status quo, immodificabile e che perdurerà nel tempo. Luca aveva fatto la sua scelta.

Sono stato io?

Luca chiese di essere assegnato ad un ufficio di direzione. Non sono trasferimenti che avvengono di frequente, ma dopo qualche tempo la sua richiesta venne accolta. Il senso di inadeguatezza che nel frattempo si era sviluppato dentro di lui era tale che la gratitudine per quell’accoglimento si trasformò presto in un senso di perpetuo debito. Arrivava in ufficio all’alba. Si faceva carico di qualsiasi compito gli venisse chiesto e la sera era sempre l’ultimo ad uscire. “Non sono capace di reggere la pressione”, mi confidò un giorno, “così cerco di rimediare lavorando di più”. Non era neppure sfiorato dal pensiero che fossero difettosi i processi, i criteri per distribuire i carichi di lavoro… Addossava la colpa a sé stesso.

Luca aveva adottato uno stile di pensiero pessimista anche riguardo a una seconda dimensione: la personalizzazione. L’analisi personale può portarti a credere che le cause di un’avversità siano di origine interna – la causa sei tu, le tue carenze, la tua incapacità – o esterna – le persone con le quali hai a che fare, un certo contesto, la sfortuna…

Anche i momenti propizi sono interpretati con la medesima logica. Puoi pensare che un periodo prospero sia frutto delle tue abilità, e che perciò sarai in grado di ripeterti, oppure che si tratti solo di fortuna: goditela adesso perché è poco probabile che ricapiti.

Se fallisci non sei un fallito

Luca spiegò il suo senso d’inadeguatezza maturato in filiale come una conseguenza delle proprie carenze. Sono fatto così, si diceva, non ci posso fare niente. Perciò evitava di impegnarsi per migliorare la situazione: si era convinto di essere un inetto.

Si era dato una spiegazione pessimista anche riguardo alla terza dimensione dello stile esplicativo: la pervasività. Un’incapacità può essere vissuta come specifica, limitata cioè ad un solo contesto o ad una determinata disciplina. Oppure universale: immagina, ad esempio, chi fallisce in un ruolo professionale, in una relazione sentimentale, e lascia che quel fallimento lo faccia sentire un fallito nella vita. È una sensazione che ti abbatte, che ti impedisce di rialzarti.

Purtroppo, questa storia non ha un lieto fine. Luca aveva maturato un pensiero pessimista su sé stesso per tutte e tre le dimensioni. Un’unica difficoltà crebbe a tal punto da portarlo a considerare quel senso di inettitudine duraturo nel tempo, derivante da una sua incapacità immutabile, che ha pervaso tutti gli ambiti della sua esistenza. L’ultima volta che lo incontrai mi raccontò a malincuore di vivere una vita insoddisfacente. Era timoroso del futuro e trasmetteva un senso di rassegnazione.

Migliora il tuo stile di pensiero

Uno stile di pensiero pessimista ci dà una visione grigia del futuro. Se è vero che i pessimisti sono spesso più razionali di coloro che hanno uno stile di pensiero ottimista, essi si rivelano più vulnerabili alle avversità. Con uno stile di pensiero pessimista è più probabile che tu cada in depressione, che tu abbia meno successo nel lavoro di quanto potresti averne in virtù del tuo talento. Inoltre, è probabile che anche il tuo sistema immunitario ne risenta. Infine, la vita non è piacevole come dovrebbe.

Per citare Seligman: [Come reagiresti se le tue azioni volgessero al ribasso, se venissi rifiutato dalla persona che ami, se il tuo lavoro non ti desse soddisfazione? […] Diventeresti molto triste; non vivresti più con entusiasmo. Ti sarebbe molto difficile accettare qualsiasi sfida. Il futuro ti apparirebbe squallido ed è probabile che ti sentiresti in questo modo per settimane o mesi. Forse tutto ciò ti è già capitato; accade alla maggior parte delle persone. È talmente comune che anche nei libri specialistici questa reazione è definita normale.

Tuttavia, anche se succede spesso che le persone siano afflitte da tali problemi, non significa che ciò debba essere accettato o che la vita debba necessariamente procedere in questo modo. Se utilizzerai un diverso stile esplicativo, sarai più equipaggiato per affrontare i momenti difficili e per impedire che le avversità ti trascinino nella depressione.]

Fonti:

  • Martin E. P. Seligman – Imparare l’ottimismo. Come cambiare la vita cambiando il pensiero

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